IL DILEMMA DEL NEUROPSICOLOGO FORENSE: PRESTAZIONE REALE O SIMULATA? UN APPROCCIO AL PROBLEMA MEDIANTE IL TOMM
( TEST OF MEMORY MALINGERING)
(Articolo tratto dalla Tesi di Laurea della Dott.ssa Margherita Riccio, Anno Accademico 2000-'01)
Dott.ssa Margherita Riccio
*Relatore prof. Stefano Zago
*Università degli Studi di Urbino
_CLOAKING
ABSTRACT
Questa ricerca si propone di offrire una panoramica riguardante il
problema della simulazione di disturbi cognitivi e di dimostrare,
tramite la presentazione di un caso clinico, come l’utilizzazione di
test specifici, come il TOMM, possano servire a svelare tentativi di
simulazione.
1. La valutazione neuropsicologica in ambito forense
Questo lavoro si inserisce nel contesto della neuropsicologia
clinica, ossia quella disciplina che si occupa delle disfunzioni
cognitive e comportamentali conseguenti a lesione cerebrale e in
particolare della neuropsicologia forense che si occupa in prima
istanza della valutazione di tali deficit in ambito medico-legale ed in
seconda istanza della detezione della simulazione e dissimulazione di
sintomi cognitivi e comportamentali. In ambito medico-legale la
valutazione delle capacità cognitive di un soggetto è di cruciale
importanza quando si deve accertare la presenza di sintomi
psicopatologici e di deficit neuropsicologici oggetto di risarcimento.
Traumi cranici, colpi di frusta cervicali, sindromi da fatica cronica,
procedimenti di inabilitazione o interdizione legale in patologie
focali o diffuse, sono tra le più frequenti affezioni passibili di una
verifica neuropsicologica in ambito forense.
Questa ha l’obiettivo di fornire una misura quantitativa delle
differenti capacità cognitive indagate (attenzione, memoria,
linguaggio, percezione, funzioni frontali, etc.) e il più delle volte
di verificare la presenza di disturbi del comportamento associati al
danno neurologico (ansia, depressione, tratti ossessivi, etc.). Il
carattere oggettivo e quantitativo dei dati ricavati dovrebbe
consentire di determinare con maggior precisione l’entità reale del
deficit riportato, predirne l’impatto sul piano personale, sociale e
lavorativo e in ultima analisi, quantificarne l’eventuale indennizzo
remunerativo. La validità del testing neuropsicologico è tuttavia
vincolata alla "buona fede" e alla cooperazione del paziente; aspetti
che se disattesi possono condurre alla raccolta di dati peritali
invalidi e fuorvianti.
Nel nostro paese l’interesse per l’indagine neuropsicologica
forense è ancora molto scarso, se comparato con la realtà statunitense,
dove la valutazione è praticamente la regola in presenza di un
contenzioso legale, anche se si sta rapidamente evolvendo ed espandendo
negli ultimi anni. Da un lato, infatti, l’elevata frequenza di
incidenti stradali e infortuni sul lavoro ha portato alla ribalta i
disturbi cognitivo–comportamentali nel cerebroleso. Dall’altro si è
riscontrata un’evoluzione della mentalità medico-giuridica propensa a
considerare il danno neuropscichico alla stregua dei sintomi corporei e
a trattare la sintomatologia neuropsicologica, da poco obiettivabile e
sfuggente, a sintomatologia incline ai criteri della valutazione
quantitativa (Brondolo e Marigliano, 1996; Sartori, 1997). Vi è
comunque un altro motivo alla base della crescente richiesta di
consultazioni neuropsicologiche, individuabile nel fatto che gli esiti
post-traumatici ben si prestano a comportamenti fraudolenti. E’ noto
infatti, che in talune circostanze, l’opportunità di ottenere un
vantaggio tangibile può indurre alcuni individui a costruire o ad
amplificare deliberatamente dei sintomi neuropsicologici (simulazione),
oppure a celare o minimizzare alterazioni neuropsicologiche
oggettivamente presenti (dissimulazione).
2. La simulazione: caratteristiche generali
La simulazione viene definita nel DSM-lV come: la produzione
intenzionale di sintomi fisici o psichici falsi o grossolanamente
esagerati, motivata da incentivi esterni, come evitare il servizio
militare, il lavoro, ottenere risarcimenti finanziari, evitare
procedimenti penali, oppure ottenere farmaci. L’intenzionalità
dell’atto è ciò che differenzia la simulazione da altri disturbi noti
in psichiatria come, disturbo fittizio, o disturbi somatoformi, come il
disturbo da conversione, da somatizzazione e da dolore somatoforme, in
cui anche vi è la produzione di sintomi non correlati da un punto di
vista organico, ma quello che si cerca è la soddisfazione di un bisogno
intrapsichico, non motivato da un incentivo esterno. Un altro
importante punto da considerare è la congruenza tra le alterazioni e la
sintomatologia cognitivo-comportamentale, difatti se l’indagine risulta
facile quando ad alterazioni encefaliche palesi, fanno riscontro turbe
neuropsicologiche inequivocabili, vi sono pazienti che con importanti
carichi lesionali, riportano alti livelli di autonomia e altri che al
contrario seppur con lievi danni cerebrali presentano un significativo
declino del funzionamento cognitivo.
Meno frequente, ma non meno importante è il riscontro di tentativi
di dissimulare problematiche neuropsicologiche, celando l’evidenza e la
rilevanza di alcuni disturbi cognitivo-comportamentali effettivamente
presenti. L’intento è quello di evitare l’interdizione o
l’inabilitazione, la revoca della patente, del porto d’armi o di un
lavoro, o semplicemente il tentativo di preservare uno status che renda
socialmente desiderabili. Anche in questo caso l’incarico peritale ad
un neuropsicologo può certificare l’eventuale idoneità neuropsichica
del paziente.
Secondo il DSM-lV la simulazione dovrebbe, inoltre, essere
fortemente sospettata, quando si rileva una combinazione dei seguenti
fattori:
- contesto medico–legale di presentazione dei sintomi (per es. il
soggetto è invitato da un rappresentante legale per una valutazione);
- marcata discrepanza fra lo stress o la compromissione lamentata dal soggetto e i reperti obiettivi;
- mancanza di collaborazione durante la valutazione diagnostica e nell’accettazione del regime terapeutico prescritto;
- presenza di disturbo antisociale di personalità.
Sempre nel DSM-lV la simulazione viene codificata sull’asse 1 con
il codice Z76.5 come ‘Ulteriore condizione oggetto di attenzione
clinica ’. Non si tratta quindi di una vera e propria diagnosi, ma
piuttosto di una condizione che si inserisce nel contesto clinico. Sono
numerosi i test utilizzati dai neuropsicologi per la detezione della
simulazione, ma è importante non dimenticare che per arrivare ad una
"diagnosi" di simulazione non ci si può basare esclusivamente sul
risultato ad un test, ma il percorso deve essere comprensivo di
un’analisi anamnestica accurata della storia psichiatrica e neurologica
del paziente, sull’inizio, la durata e la gravità del danno, sulla
natura dell’evento lesivo, un’analisi del funzionamento cognitivo,
personale, sociale e lavorativo del soggetto prima del trauma, oltre ad
un’analisi qualitativa, non solo quantitativa delle prestazioni ai
test, che si riferisce perciò non solo al punteggio conseguito, ma
anche al come il soggetto svolge la prestazione. E anche quando si
arriva alla certezza di una "diagnosi" positiva, bisognerà sempre tener
conto del fatto che quello della simulazione è uno dei giudizi più
negativi, in quanto si accusa una persona di un reato penalmente
perseguibile, da tre a sei mesi di reclusione, più 200 euro circa di
multa e la pena è aumentata se si persegue l’intento. Anche nel caso di
una diagnosi corretta, le conseguenze sociali e psicologiche possono
superare di molto la gravità del reato.
3. Il percorso diagnostico: l’individuazione della simulazione
3.1.La raccolta anamnestica e l’osservazione diretta del comportamento
L’osservazione del paziente, del modo in cui si comporta e
racconta l’esordio e la progressione della sua malattia durante il
colloquio, oltre ad un’opportuna analisi della sua storia clinica,
possono far cogliere quelle incongruenze che al clinico addestrato
forniscono conferme di simulazione. Sono stati ad esempio individuati
alcuni tratti della personalità del simulatore. Rada, Meyner e Kellner
(1978) hanno evidenziato che il simulatore è impermeabile alle reazioni
emotive, in genere burbero e sospettoso e a disagio se a contatto con
altre persone. Apparirebbe inoltre, in genere poco collaborante,
circospetto, con un basso livello di self control, poco compiacente a
sottoporsi alle indagini cliniche (Harrington, 1976; Miller e
Cartlidge, 1972). E’ anche utile capire se i pazienti aumentano lo
sforzo al crescere della complessità degli stimoli oppure se tendono a
rinunciare velocemente. L’ultima reazione suggerisce una mancanza di
sforzo dovuta al diminuire della motivazione. La frequenza e al
distribuzione delle risposte "non so" può anche essere utile per
decidere se il paziente si sta veramente impegnando. Comunque è
fondamentale procedere con cautela nell’attribuire la mancanza di
sforzo solamente alla simulazione, quando può essere dovuta ad un
disturbo dell’umore o ad un’altra malattia psichiatrica. E’ stato
sottolineato che il simulatore tende a manifestare sintomi singoli e
isolati prodotti principalmente per imitazione e non ricollegabili ad
un quadro clinico. Viene cioè prodotto un quadro sintomatologico a
contorni sfumati che non appare veritiero. Ad esempio, dopo un trauma
cranico, un ictus o una patologia vascolare, si dovrebbe assistere ad
un minimo recupero funzionale della capacità lesa. Il deficit, infatti,
è massimo subito dopo il trauma e di carattere solitamente non
progressivo. La gravità del deficit progredisce nel tempo, invece, in
caso di tumore cerebrale. Se le indagini strumentali escludono
quest’ultima condizione, appare giustificato che un paziente che neghi
la presenza di un recupero, con buona probabilità sta esagerando la
propria condizione clinica.
Il simulatore impiega di solito conoscenze e nozioni elementari
attribuibili al senso comune e difatti le amnesie, (la capacità
psichica che sembra essere maggiormente oggetto di simulazioni è la
memoria, sia perché i mass media ci propongono di continuo informazioni
in tal senso, sia perché i problemi ad essa legati sono effettivamente
i più frequenti nelle più svariate patologie) ad esempio, non sono
uniformi, generalmente eccessivamente estese e dirette ad esiti in
prevalenza sfavorevoli per il soggetto. Spesso i simulatori possono
essere ingenui nella loro performance palesando comportamenti
incongruenti con quello che è il normale riscontro in patologia
neurologica al di fuori del contesto forensico. Ad esempio, un paziente
con trauma cranico lieve che riferisce di non ricordare le proprie
generalità, fa pensare all’adozione di un comportamento che rispecchia
quello di stati demenziali terminali, piuttosto che alle conseguenze
del trauma cranico sulle capacità mnesiche. Una distruzione così
profonda della capacità mnemonica si osserva ben di rado anche nelle
forme più gravi di demenza. Non sempre comunque tali comportamenti sono
evidenti e una persona con buone qualità intellettuali coinvolta in un
contenzioso legale può mettere in atto delle strategie simulatorie
difficilmente smascherabili, specie se sostenute dallo studio di
materiale relativo alla menomazione che sostiene di avere. Per quanto
particolareggiata, l’osservazione diretta comporta sempre
l’individuazione di sintomi e segni spesso soggettivi ed oltre a non
essere attendibile, può essere facilmente contestata in sede di
dibattimento. Pertanto, non si può prescindere dall’uso di strumenti
che forniscano indicazioni oggettive riguardanti il comportamento
simulatorio.
3.2. L’applicazione della testistica convenzionale neuropsicologica
Lo sviluppo di metodiche adeguate nel tentativo di individuare
prove sensibili per la simulazione, è stato oggetto di un copioso
numero di studi. In particolare, sono state effettuate indagini per
individuare misure oggettive relative alle caratteristiche degli errori
e al loro numero, effettuati nell’ambito di questionari o test
cognitivi. Alcuni di questi "marker della simulazione" sarebbero
riscontrabili in reattivi abitualmente impiegati in ambito clinico,
altri invece, in test o questionari ideati per individuare i
simulatori. Si tratta di prove la cui fedeltà e validità statistica è
stata ampiamente verificata su grandi campioni di soggetti normali e di
controllo, tenendo conto di variabili che possono influenzare i
punteggi, quali l’età, la scolarità e il sesso. Ciò consente di ridurre
i margini di discrezionalità del singolo neuropsicologo determinando
misure utili alla replicazione. Tuttavia la somministrazione di prove
richiede una specifica preparazione da parte di un professionista in
possesso di una sofisticata base teorica per la comprensione dei
profili cognitivi che si determinano nell’ambito della patologia
neurologica.
La maggior parte degli strumenti presenta alcune caratteristiche
comuni, come il costruire prove con un numero elevato di stimoli, in
modo da far credere che la difficoltà del compito sia direttamente
proporzionale alla §sua lunghezza; utilizzare più prove separate da
intervalli prolungati, durante i quali viene chiesto di svolgere un
compito distraente, in modo che il simulatore creda che ciò debba
interferire sulla prestazione; sottolineare al soggetto alcune
caratteristiche del compito come la sua difficoltà, in modo che tenderà
a dare prestazioni peggiori.
3.2.1.Misure standard
Tra le misure standard utilizzate per individuare la tendenza a simulare vi sono:
- Rey’s 15 –Item Memory Test (RFMT): questa prova viene utilizzata
per individuare la tendenza a simulare o aggravare deficit di memoria.
Al soggetto viene mostrata una configurazione che apparentemente sembra
difficile da memorizzare, ma che in realtà è assai semplice da
ricordare. La maggior parte dei pazienti con trauma cranico e molti
soggetti con ritardo mentale in questo test ottengono prestazioni nella
norma. Il test consiste nella presentazione di una configurazione con
15 item per circa 10 secondi. Successivamente la configurazione viene
nascosta allo sguardo del soggetto per altri 10 secondi, quindi gli
viene chiesto di riprodurre su un foglio gli stimoli esperiti in
precedenza. Il punteggio è calcolato sulla base del numero totale di
item rievocati
- Rey’s World Recognition List (RWRL): in questa prova l’esaminatore
legge una lista di 15 parole al ritmo di una al secondo e mezzo circa.
Dopo un ritardo di 5 secondi, viene presentata al soggetto una lista
contenente 15 target e 15 distrattori. Il punteggio è dato dal numero
di parole ricordate correttamente.
- Benton Visual Retention Test (BVRT): è un test di valutazione della
memoria visiva, costituito da figure geometriche da ricopiare o
riprodurre a memoria. L’edizione italiana, di adattamento a quella
statunitense del 1955 è composta da tre forme parallele (C,D,E),
ciascuna di 10 stimoli. Possono essere utilizzate 4 diverse modalità di
somministrazione; a) il soggetto osserva per 10 secondi la figura e la
riproduce a memoria subito dopo; b) il soggetto osserva per 5 secondi
la figura e la riproduce subito dopo; c) il soggetto copia la figura
che gli viene lasciata di fronte; d) il soggetto osserva per 10 secondi
la figura e la riproduce a memoria dopo 15 secondi di intervallo.
- Scala Wechsler di Memoria: è una scala standardizzata che include
differenti sub-test che misurano la memoria a breve termine,
l’apprendimento di materiale verbale e non, il recupero immediato e
differito, il controllo mentale e l’attenzione. Il risultato è espresso
da un quoziente mnesico (Wechsler, 1987).
- California Verbal Learning Test (CVLT): è una prova sviluppata per
misurare le capacità mnesiche ed in particolare l’apprendimento verbale
(Delis, Kramer, Kaplan e Ober, 1983). Al paziente è richiesto di
memorizzare 16 parole appartenenti a 4 categorie semantiche diverse. La
prestazione del paziente dovrebbe migliorare nei tentativi, una volta
appresa la strategia da utilizzare, a dimostrazione che la
categorizzazione influisce positivamente sul rendimento. Si tratta di
un compito che coinvolge più marcatamente i circuiti frontali.
- Warrington Recognition Memory Test (RMT): è formato da due sezioni,
ricordare le parole (RMW) e le facce (RMF). Al soggetto vengono
presentate 50 parole o facce consecutive, una ogni tre secondi e poi
immediatamente una scelta forzata tra due alternative da ricordare.
(Warrington, 1984).
3.2.2.Misure non stansdard
- Symptom ValidityTest (SVT): è una tecnica ampiamente
utilizzata nella detezione di simulazione di deficit neuropsicologici.
Binder e Pankratz (1987) furono i primi a sfruttare il metodo del
Symptom Validity Test, ( definito così, poiché lo scopo è quello di
attestare la veridicità del sintomo) noto anche come "Metodo della
scelta forzata". L’idea di fondo è che adottando una procedura a scelta
forzata, i simulatori possono venire scoperti, in quanto forniscono un
numero di risposte corrette che risulta significativamente al di sotto
del livello di risposte attribuibili al caso. In una prova a scelta
forzata, difatti, la prestazione minima possibile corrisponde al
reciproco del numero delle alternative. Ad esempio, in una prova dove
sono presenti due possibilità di risposta, la prestazione minima
ottenibile sarà del 50%, se le alternative sono 4, sarà del 25% e così
via. Di conseguenza se un soggetto ha un deficit reale, che perciò non
conosce la risposta corretta, tirerà ad indovinare, otterrà una
prestazione prossima al livello casuale e quindi il suo risultato
corrisponderà al reciproco del numero delle alternative. Per essere
applicata, devono essere soddisfatte alcune condizioni:
A) La presentazione degli stimoli deve essere rigorosamente
randomizzata, cioè ciascuno stimolo deve avere sempre le stesse
probabilità di comparire ad ogni presentazione;
B) Tutte le possibili risposte corrette devono avere la stessa
probabilità di essere emesse dal paziente, cioè egli deve conoscere
l’insieme delle risposte possibili;
C) La probabilità che il paziente emetta una delle risposte possibili
deve essere la stessa ad ogni presentazione,cioè ogni risposta deve
essere indipendente dalla precedente.
- Hiscock and Hiscock Test o Digit Memory Test: la procedura
prevede l’utilizzo di otto stimoli ciascuno composto da cinque cifre,
presentati in cartoncini delle dimensioni di 7.6x12.7 cm. che vengono
mostrati al paziente. Successivamente vengono presentati altri
cartoncini che contengono lo stimolo mostrato in precedenza abbinato ad
un distrattore che differisce dal target per almeno due cifre, inclusa
la prima e l’ultima. Lo stimolo viene fatto osservare al paziente per
almeno 5 secondi e poi rimosso. Dopo un intervallo variabile di 5,10,15
secondi rispettivamente nel blocco A,B,C,D, viene presentato uno
stimolo di risposta e chiesto al paziente di indicare il numero che
aveva visto in precedenza nel cartoncino standard. In ogni sub-test il
paziente è informato se la sua risposta è corretta o meno. Prima della
presentazione di ogni blocco, il paziente è inoltre informato che il
compito costituisce un "test di memoria". Dopo il primo ed il secondo
blocco di prove, al paziente viene detto che ha ben eseguito la prova e
che di conseguenza la ritenzione dell’intervallo deve essere
incrementata per aumentare la difficoltà della prova nell’ultimo blocco
di prove. L’intera prova consiste di tre blocchi di 24 stimoli ciascuno
per un totale di 72 presentazioni. Hiscock and Hiscock sottolinearono
due aspetti innovativi del test. Il primo è quello di fornire un
feedback riguardo le performance del soggetto durante l’esecuzione del
test. Se egli riterrà che la sua prestazione è troppo buona, tenderà ad
aggiustarla verso il basso a tal punto che il punteggio cadrà al di
sotto del livello del caso. Un altro stratagemma è quello di scomporre
il test in più blocchi, creando l’illusione nel paziente che ogni
blocco sia più difficile del precedente.Gli autori sottolinearono,
inoltre che questa procedura ha il pregio di apparire più difficile di
quanto non sia in realtà. Se infatti la memorizzazione di cinque cifre
può apparire ostica anche per un soggetto normale, va rilevato che nel
test in questione la risposta corretta può essere dedotta in molte
prove del test ricordando solo la prima e l’ultima cifra.
- Portland Digit Recognition Test: Binder e Willis (1991)
sempre adottando una procedura a scelta forzata, hanno sviluppato una
variante del Digit Memory Test. In questo test vengono presentate 5
cifre uditivamente, una dopo l’altra. Successivamente dopo un compito
interferente in cui il paziente è invitato a contare all’indietro,
vengono presentati visivamente dei numeri e il paziente deve riferire
se tali numeri appartengono alla serie precedentemente ascoltata. Un
solo numero viene variato nella serie. La differenza con il Digit
Memory Test risiede nell’uso dei due canali, uditivo e visivo, che
fanno apparire il test più impegnativo.
- Amsterdam Short-Term Memory Test: è una prova di memoria che
consiste nel riconoscimento di parole appartenenti ad una stessa
categoria semantica (Schmand, De Sterk, Schagen e Lindeboorn, 1997). La
prova prevede 30 stimoli più due item di training. Ogni item occupa tre
pagine. Nella prima vengono presentate cinque parole appartenenti ad
una categoria semantica (es. giacca, pantaloni, gonna etc.). Al
paziente viene chiesto di leggere le parole al ritmo di una ogni
secondo e mezzo e di memorizzarle. Nella seconda pagina è riportato un
semplice compito di addizione e sottrazione (distrattore) che il
paziente deve eseguire senza limite di tempo. Nella terza pagina
vengono presentate cinque parole appartenenti alla stessa categoria
semantica delle precedenti, ma tre sono già state viste in precedenza e
due sono nuove.
- b test: rappresenta una nuova misura della simulazione
introdotta da Boone, Lu, Sherman et al. (2000) che prevede la lettura
di lettere dell’alfabeto. La scelta del materiale è motivata dal fatto
che trattandosi di informazioni familiari, risulta particolarmente
indicato per ridurre la possibilità di avere falsi positivi, ossia quei
soggetti non simulatori che presentano il marker, anche in pazienti con
lesione cerebrale. Allo stesso tempo, il pubblico generale non è a
conoscenza che tale materiale è particolarmente resistente al danno
cerebrale.
- Dot Counting Test: questa prova viene usata per individuare
la tendenza a simulare o aggravare difficoltà intellettive o specifici
deficit visuo-percettivi. Il principio di base consiste nel
randomizzare il livello di difficoltà degli stimoli allo scopo di
verificare se la prestazione del paziente è correlata con esso. La
prova è composta da due sottoparti: -ungrouped dots, con punti in
ordine sparso; -grouped dots, con punti raggruppati in configurazioni.
La seconda parte è più semplice rispetto alla prima. Al paziente viene
richiesto di contare il numero di punti presenti su alcuni fogli e di
fornire la risposta il più velocemente possibile. Il punteggio viene
calcolato considerando il numero di secondi impiegati dal soggetto per
rispondere ad ogni item. In entrambe le prove i tempi di risposta dei
soggetti collaboranti aumentano gradualmente con il crescere del numero
di punti. Due o più deviazioni da questo pattern indicano che il
soggetto, molto probabilmente sta simulando.
- Test of Memory Malingering (TOMM): è stato originariamente
elaborato da Tombaugh, nel 1996 ed è una prova di memoria di
riconoscimento per adulti, che presenta delle caratteristiche che si
inseriscono nel contesto del Symptom Validity Test. E’ composto da 50
stimoli e prevede una prova di apprendimento, una di riconoscimento ed
una di ritenzione differita. Nella prima prova l’esaminatore presenterà
50 figure, ognuna per circa tre secondi, in quella di riconoscimento
mostrerà 50 cartoncini, in ognuno sarà disegnata una figura vista in
precedenza e una nuova figura, il soggetto dovrà indicare quella vista
in precedenza. La stessa procedura vale per la prova di ritenzione
differita che peraltro non è obbligatoria, viene applicata solo se il
punteggio è inferiore a 45, ma senza la fase preliminare di
apprendimento. Ogni figura corrisponde ad un punto e il massimo
equivarrà a 50 punti.
4. Presentazione di un caso clinico
La signora B.M. di anni 54, fu investita da un autocarro mentre
attraversava le strisce pedonali, riportando un trauma cranico
cerebrale. Presentava stato di incoscienza, fu immediatamente soccorsa
nel reparto di rianimazione, poi dopo un, mese passò in quello di
neurochirurgia, ma dopo una degenza di 15 giorni risultava praticamente
autosufficiente. Furono fatte diverse indagini neuropsicologiche, a
distanza di alcuni mesi l’una dall’altra, e ciò che insospettì è che
invece di migliorare la paziente con il tempo peggiorava, cosa che nel
trauma cranico non succede, anzi, il deficit difatti è massimo subito
dopo il trauma e solitamente non progressivo.
Ad 11 mesi dall’evento lesivo fu somministrata una batteria di
test da cui non risultarono deficit delle funzioni cognitive superiori
indagate, si rilevò solo un lieve rallentamento dell’eloquio spontaneo.
Dopo circa tre anni, fu fatta un’altra indagine, a fini
medico-legali, per valutarne l’attuale condizione cognitiva. L’umore è
apparso deflesso con verbalizzazioni autosvalutative circa le proprie
capacità, l’eloquio emesso correttamente, ma con ritmo lento e
monotono, soggettivamente ha lamentato disturbi sul piano linguistico,
mnesico, dell’attenzione e pianificatorio, inoltre lamentava
addirittura difficoltà visive. Le prestazioni ai test sono risultate
per la maggior parte deficitarie, soprattutto per es. il test di
street, che è talmente facile che viene riconosciuto anche da persone
affette da demenza nello stadio medio-avanzato.(tabella n1).
Al TOMM la sua prestazione sembra oltremodo chiara, non solo in
tutte e tre le fasi il suo punteggio si colloca sotto il cut-off di 38,
ottenuto in una popolazione di dementi italiana, ma addirittura la sua
performance decresce dalla prima alla terza presentazione sfiorando il
livello di casualità del 50% Si può dunque concludere che la nostra
paziente ha volontariamente messo in atto un comportamento fraudolento.
(tabella n2).
Conclusioni
Il problema di stabilire se la prestazione del paziente sia reale
o simulata ha costituito una sorta di dilemma per il neuropsicologo
impegnato nella pratica giudiziaria e negli ultimi quindici anni il
dibattito è stato molto forte e la letteratura sull’argomento si è
ampliata enormemente. Il caso clinico presentato mette in luce che
impegnando il tradizionale metodo clinico (anamnesi e osservazione
comportamentale), gli strumenti standard messi a disposizione dalla
neuropsicologia clinica, nonché tecniche accessorie specificatamente
orientate all’individuazione delle manifestazioni dolose, è possibile
proteggersi da individui intenzionati a simulare, come la paziente in
questione.
Va comunque detto che l’esigenza di disporre di conoscenze
scientifiche rigorose riguardo al problema della simulazione è stata
particolarmente avvertita negli Stati Uniti e in parte in Europa, ma
praticamente ignorata nel nostro paese, salvo rarissime eccezioni. Sono
pochi i test disponibili in Italia per chi voglia verificare la
veridicità della sintomatologia manifestata da un cerebroleso. Il test
qui presentato (TOMM) rappresenta una delle pochissime eccezioni, resa
possibile dall’interessamento di un gruppo di psicologi e
neuropsicologi dell’Università di Padova. Negli Stati Uniti alcune
ricerche hanno portato alla conclusione che la percentuale minima di
simulatori si aggira approssimativamente intorno al 50%. Se i dati
statunitensi potessero essere estesi anche alla realtà italiana, ciò
starebbe ad indicare che circa un paziente su due simula o comunque
falsifica la propria condizione. Questo impone da un lato una maggiore
conoscenza del fenomeno simulazione e dall’altro l’obbligo di
utilizzare strumenti per la detezione come prassi normale all’interno
di una valutazione neuropsicologica in cui c’è in gioco un contenzioso
legale.
FUNZIONE
COGNITIVA E TEST IMPIEGATI CUT-OFF PUNTEGGI
INTERPRETAZIONE
VALUTAZIONE
COGNITIVA GLOBALE
- Mini
Mental State Examination (v.n.>24) 26.89/30 normale
ATTENZIONE
- Matrici
Attenzionali (v.n.>31) 25.00/60 deficitaria
- Test
"des Deux Barrages" (---------) 187omissioni deficitaria
CALCOLO
- Test
per l’Acalculia (v.n.>74) 79.5/101 limite
inferiore
RAGIONAMENTO
LOGICO DEDUTTIVO
- Matrici
Progressive di Raven(47) (v.n.>18) 11.09/36 deficitaria
LINGUAGGIO
- Token
Test (v.n.>29) 25/36 deficitaria
- Boston
Naming Test (v.n.>43) 36/60 deficitaria
Fluenze
verbali
- Fonetiche (v.n.>17) 07 deficitaria
- Categoriali (v.n.>25) 21 deficitaria
MEMORIA
- Digit
Span (v.n.>3.75) 3.75 limite
inferiore
- Span
Spaziale (v.n.>3.50) 3.00 deficitaria
- Breve
Racconto (v.n.>8) 1.50/28 deficitaria
- Apprend.
di Coppie di parole (v.n.>6.5) 9.50/22.5 normale
- Apprend.Sequenza
Spaziale (v.n.>6.75) 8.16 limite
inferiore
PRASSIE
- Aprassia
buccofacciale (v.n.>16) 12/20 deficitaria
- Aprassia
ideomotoria (v.n.>53) 62/72 normale
- Aprassia
costruttiva (v.n.>8) 12.75/14 normale
RICONOSCIMENTO
VISIVO
- Street’s
completion Test (v.n.>2.25) o.o/14 deficitaria
EFFICIENZA
FRONTALE
- Test
della Torre di Londra (v.n.>20) 12/36 deficitaria
|
Tabella
n 1. Risultati delle prove psicometriche a cui è
stata sottoposta la signora B.M:
DETEZIONE
DELLA SIMULAZIONE
Test
of Memory Malingering
Prova
1 (v.n.>38) 33/50 limite positivo
Prova
2 (v.n.>38) 31/50 limite positivo
Ritenzione (v.n.>38) 27/50 positivo
|
Tabella
2: somministrazione del TOMM
|